Parole visive – Movimento Aperto – Napoli
15 – 30 gennaio 2016
Venerdì 15 gennaio 2016 alle ore 17,00 a Napoli presso Movimento Aperto, via Duomo 290/c, si inaugura la mostra Parole visive a cura di Laura Turco Liveri.
L’esposizione rimarrà aperta fino al 30 gennaio, secondo il seguente orario: mercoledì e venerdì, ore 17:00/19:00 – giovedì ore 10.30/12.30, altri orari su appuntamento.
La mostra presenta sei artisti: Giuliano Mammoli, Rita Mele, Teresa Pollidori, Luciano Puzzo, Alba Savoi e Ilia Tufano, che si confrontano sulla specifica peculiarità di inserire nelle proprie opere parole, lettere numeri. Elementi che vengono proposti a volte nella loro accezione strettamente estetica, altre in cui la forma ed il significato si fondono in un tutt’uno espressivo.
Eppure, tutte le opere, accomunate da una grande portata emotiva, comunicano una forte, consapevole e decisa volontà alla vita e al cambiamento, urgente e drammaticamente necessario per Puzzo, connaturato all’indole poetica e appassionata nella Mele, studiato biunivocamente tra passato e presente nella decrittazione scritturale della Savoi, sofferto e analizzato nell’affabulazione di Mammoli, lucidamente denunciato nelle lavoratissime sovrapposizioni visive della Pollidori e ineluttabile nelle onde di parole che compongono le correnti ipnotiche dell’infinita litania della Tufano.
Il catalogo PAROLE VISIVE in formato sfogliabile è visibile alla pagina:
http://www.sfogliami.it/flip.asp?sc=vsk5lqzrn2vqo61t47dylc63u0d8dr6o&ID=124256
SCHEDA INFORMATIVA:
titolo:
Parole visive
cura:
Laura Turco Liveri
artisti:
Giuliano Mammoli, Rita Mele, Teresa Pollidori, Luciano Puzzo, Alba Savoi, Ilia Tufano
sede espositiva:
Movimento Aperto, via Duomo 290/c – Napoli
periodo:
dal 15 al 30 gennaio 2016
orario:
Mercoledì e Venerdì, ore 17:00/19:00,
giovedì ore 10.30/12.30,
altri orari su appuntamento
informazioni:
Cell. 333.2229274 –
ilia.tufano@libero.it
PAROLE VISIVE
di Laura Turco Liveri
Parole, lettere, numeri, o qualsivoglia oggetto, simbolo, immagine, frammento, texture, pezzi di manifesti strappati o ingranaggi abbandonati, specchi e quant’altro, si trasfigurano, nell’immaginario di un artista, in linee, forme, colori, ombre, luci, andamenti e ritmi visivi, formando, come in un processo alchemico, nuovi oggetti e nuovi significati.
Quasi un fautore per eccellenza del ‘riciclo’ metaforico e non, materiale o digitale, l’artista, interprete del mondo nonché delle proprie, personali urgenze emotive, comunicative, linguistiche e formali, scavalca la realtà e i suoi oggetti, rimodellandola strutturalmente dal profondo in una nuova realtà, visiva e artistica, infondendo altra vita a significanti impoveriti o desueti, e definendo progressivamente un linguaggio unico e originale. In tal senso, l’esposizione Parole visive è emblematica e, soprattutto, ricca di risultati, frutto di indagini approfondite e prolungate in anni di ricerca accurata, calata profondamente nel contemporaneo.
La ragguardevole varietà di tecniche e di procedimenti utilizzati nelle opere installative dei sei artisti in mostra, infatti, non dovrebbe essere letta ancora nella vecchia veste di ‘parole, lettere e numeri’, bensì come riformulazione della realtà in cui siamo nati e ci siamo mentalmente formati, nel rovesciamento della prospettiva di visione e nella conseguente evidenziazione di particolari finora ignorati o sottovalutati, consentendoci un’altra, inedita e sconcertante, interpretazione del ‘nostro’ mondo.
Ecco perché, ad esempio, Teresa Pollidori parte dall’emotività delle immagini prese dalle fotografie dei barconi pieni di migranti e, attraverso innumerevoli interventi in cui il segno digitale tesse immagini e sfumature pittoriche – sia pure nel distacco emotivo dato dalla tecnica computerizzata – arriva a un risultato visivo complesso: la parola funziona come forma, motivazione e intento finale dell’opera, il cui impatto permane nella mente dello spettatore, inducendone una personale riflessione e una susseguente opinione su temi gravi della nostra contemporaneità.
Temi cui siamo assuefatti a causa dell’enormità del numero di immagini proposte, divenendo indifferenti, pur commuovendoci per un momento, alla nostra stessa capacità umana di reagire. Reazione che invece suggerisce Luciano Puzzo, il quale frena l’animazione delle sue Afonie (la sua sommessa protesta dei segni) dietro la scura griglia di giganteschi “No” che, pur composti dalla consueta accelerazione ritmica, segnica e tonale, si stagliano decisi nel “dissenso urlato” e biunivoco che rovescia la negazione letterale in messaggio positivo: “On”, speranza di accendere l’attenzione di chi guarda, in tal modo segnalando l’urgenza di contrastare energicamente, ognuno a suo modo, la diffusa tendenza ad allontanarsi dalle problematiche del contemporaneo.
Nel gioco degli opposti abilmente praticato da Alba Savoi, invece, la sottrazione di materialità nella ricreazione della tridimensionalità virtuale e nell’impaginazione concentrica, che mostra con maggiore definizione la zona centrale della texture, evidenzia proprio il processo formativo, archetipico, dell’immagine o di un concetto. È un’operazione sul linguaggio, inteso, simbolicamente, nel confronto tra scrittura inintelligibile e scrittura conosciuta, come fu per la decrittazione della Stele di Rosetta, qui proposta accanto all’elaborazione della pioggia di numeri del codice del noto film Matrix (1999).
Un gioco che usa anche Giuliano Mammoli, il quale declina la ripetitività seriale di una peculiare e nostrana pop art – che caratterizza anche altre sue opere – spostandola sul piano del pensiero, svuotando del significato ordinario le lettere alfabetiche rappresentate nei dodici quadretti, per evidenziarle nello specchio del ricordo, in un infinito rimando tra l’opera e lo spettatore.
Elemento comune tra i sei artisti, e caratterizzante di questa mostra, è il riquadro, inteso come delimitazione dell’emotività o focalizzazione del proprio ambito di ricerca e di significazione, e al contempo frattura ricomposta della figurazione d’insieme. Come in Ilia Tufano, che concerta in figure geometriche delimitate la corrente ipnotica ed emozionale delle onde del suo ‘mare’ di parole, giocando, con la variazione segnica e ton sur ton dei ritmi visivi, sulla percezione della tridimensionalità di un soggetto – la scrittura – che tridimensionale, per assunto, non lo è.
Tra le più poetiche del gruppo, Rita Mele usa il riquadro come elemento di variazione compositiva dell’insieme, lasciando all’espressività del tracciato scritturale il portato di luce e di emozione del segno. Nell’opera proposta, la Mele sbalza la prospettiva percettiva, sciorinando sulla superficie indecifrabili scritture, accanto alle profondità scorciate della donna sensualmente raffigurata con la testa all’indietro.
Quello che infine colpisce in questi sei artisti è che hanno vissuto attivamente grandi ere dell’arte contemporanea – chi gli anni Sessanta o i Settanta – anni di sperimentazione, scoperta, e di straordinaria modernità, non solo artistica ma anche sociale, di cui ancora siamo debitori e inefficienti prosecutori, e da veri artisti continuano a indagare nel presente e nel futuro, trovando modalità espressive sempre attuali, conseguenti alla propria elaborazione dell’attuale condizione umana, storica e politica.